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![]() LUTERANESIMO Dottrina religiosa sorta dalla predicazione di Martino Lutero e all'origine del più vasto movimento della Riforma protestante. Ricollegandosi con la tradizione del cristianesimo paolino, Lutero sostenne la necessità di un vero e proprio "ritorno al Vangelo" e all'obbedienza diretta alla Parola evangelica, contro le degenerazioni normative e disciplinari operate dal papato medievale, da lui identificato con l'Anticristo. Dalla Lettera ai romani di san Paolo Lutero derivò il concetto di "giustizia passiva" di Dio, che non infligge all'uomo la punizione che gli spetta a causa del peccato in cui si trova, ma anzi gli consente di giungere alla grazia, manifestata in Cristo. La "giustizia" di Dio è cioè "giustificazione", "rendere giusto" il credente attraverso la grazia nascosta nella durezza del giudizio, secondo il concetto del "nascondimento" di Dio misericordioso sotto l'apparenza del suo opposto. Questa è la "teologia della croce" luterana. Il credente raggiunge la certezza della salvezza esclusivamente sulla base della fede, ossia della "fiducia" nell'assoluta gratuità di tale dono che non può trovare adeguato contraccambio da parte dell'uomo. Di qui il rifiuto della nozione di "opere meritorie", su cui il papato, sulla scorta della teologia morale medievale, aveva costruito la propria autorità sulle coscienze e su cui poggiava la teoria delle indulgenze: nelle novantacinque tesi del 1517 Lutero affermò che il papa non ha alcun potere sul purgatorio perché la grazia di Cristo è gratuita e le opere non valgono a condizionare il decreto eterno di Dio. Sulla scia del pessimismo agostiniano, egli sostenne che l'uomo è impossibilitato a fare il bene senza l'aiuto della grazia e le stesse sue opere non sono mai assolutamente buone, essendo sempre inficiate dall'impotenza della volontà che non è più assolutamente libera in conseguenza del peccato originale. Tale posizione, espressa nel De servo arbitrio (1525) in polemica con il De libero arbitrio di Erasmo, manifestò tutta l'inconciliabilità del protestantesimo, in ciò profondamente "medievale", con l'approccio ottimista proprio dell'umanesimo religioso. L'opera di demolizione della teocrazia pontificia fu compiuta con gli opuscoli del 1520 e ripresa nell'ultimo scritto di Lutero, Contro il papato di Roma fondato dal diavolo (1545): con la teoria del sacerdozio universale di tutti i credenti e l'abolizione del sacramento dell'ordine, sostituito dal semplice mandato della comunità al suo pastore, andava in frantumi la concezione della "Chiesa visibile" basata sui sacramenti e sul magistero papale, che dalla riforma gregoriana in poi aveva sorretto la struttura gerarchica e il primato sulla società secolare propri della Chiesa in quanto corpo separato e presieduto dal papa. Ma la restaurazione della Chiesa della Parola, propria dei tempi apostolici, fu pesantemente condizionata dall'arbitrio lasciato all'autorità secolare nell'attuare la riforma e nel governare la Chiesa, in base al ruolo riconosciutole dallo stesso Lutero con la teoria dei "due regni", secondo cui la Chiesa esteriore ricade sotto il potere dell'autorità terrena. L'assunzione delle funzioni episcopali da parte dei principi territoriali, che se ne avvalsero per rafforzare sul piano confessionale il proprio potere, portò fra il XVI e il XVII secolo a un periodo di stasi dottrinale che compose i dissensi dell'epoca precedente fra luterani ortodossi e melantoniani (questi ultimi inclini al calvinismo, Vedi Melantone) in un conformismo acquiescente ai dettami assolutistici dell'autorità secolare, rafforzata dal principio cuius regio eius religio, in cui restava spazio solo per un cristianesimo fortemente interiorizzato quale quello predicato dal pietismo. La perdita di forza profetica subita dal luteranesimo preparò il terreno per la nascita nel suo seno, in seguito alla rivoluzione illuminista, della teologia liberale, tentativo di assorbire il nucleo del suo messaggio, individuato nella liberazione della coscienza soggettiva, nel pensiero razionale borghese. Contro tale tendenza si sollevò nel XIX secolo il "neoluteranesimo", movimento che nel recupero dei tradizionali motivi della sola fides e della confessio ritrovò la forza per rivendicare alla Chiesa la piena autonomia di fronte allo stato, reagendo al razionalismo e all'indifferentismo confessionale. Suscitato in origine dal rifiuto della fusione operata da Federico Guglielmo III di Hohenzollern, fra 1817 e 1839, delle Chiese luterane con le calviniste nel proprio territorio (Chiesa dell'unione prussiana), sempre più nel corso del XX secolo il neoluteranesimo riscoprì nell'istanza della coscienza religiosa e della "chiamata" la spinta per opporsi ai regimi secolari e alle loro tentazioni totalitarie, nonché per aprirsi alle esigenze ecumeniche nei confronti delle altre confessioni riformate e del cattolicesimo, superando le antiche polemiche dopo la prova comune delle dittature e delle guerre mondiali. Il momento più alto di tale esperienza novecentesca fu rappresentato dalla resistenza opposta al nazismo da un gruppo di pastori guidato da M. Niemöller, che nel 1933 si costituirono in una lega detta poi Chiesa confessante. M. Pellegrini ![]() M. Lutero, Scritti politici, Einaudi, Torino 1959; id., Scritti religiosi, Einaudi, Torino 1967; D. Bonhöffer, Resistenza e resa, Einaudi, Torino 1988. |
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